martedì 10 gennaio 2012

La macchina della SIAE

"La musica è un linguaggio di fratellanza e l'orchestra è l'embrione della società perché tutti devono ascoltare anche le voci degli altri". Così ha detto il noto violinista italiano Uto Ughi, e vien da pensare che "ascoltare la voce degli altri" sia l'espressione migliore per definire la cultura e la sua capacità di ampliare gli orizzonti del singolo individuo.
Esiste, in Italia, un ente che controlla la trasmissionie culturale tra i membri della società. La Società degli autori (SIAE dal 1927) nasce all'indomani dell'Unità d'Italia per volontà di alcuni intellettuali desiderosi di garantire piena libertà a musicisti, scrittori e tutti colori che volevano vivere della propria creatività. Le nobili finalità che fecero da fondamento all'ideazione e sviluppo del nuovo ente passarono ben presto (a quanto pare) in secondo piano, per fare spazio ad una logica affatto diversa.
Oggi la SIAE è un ente pubblico attorno al quale ruotano cifre davvero "interessanti" e che ha suscitato non poche polemiche, non ultima quella scatenatasi sul web davanti alla richiesta della SIAE di ricevere il pagamento di un contributo per la pubblicazione dei trailer cinematografici sui siti internet.
Ma è indubbiamente la musica, prima di tutto il resto, ad essere la vittima designata di questo sistema. Il giro d'affari è impressionante, basti pensare che la SIAE percepisce un "equo compenso" che noi tutti paghiamo in negozio sull'acquisto di qualsiasi mezzo di riproduzione audio-visivo. Ad esempio, un lettore MP3, da 1GB a 5GB, ci costa € 5,15 in più, da 5GB a 10GB, € 6,44 e così via (ma paghiamo anche per telefonini e chiavette USB, tanto per dire). La giustificazione è tutta nella "possibilità" che questi mezzi siano utilizzati per riprodurre opere coperte dal copyright...
Altra fonte "facile" di guadagni è il celebre bollino ("contrassegno SIAE") che porta alle casse dell'ente 70 milioni di euro l'anno. Oltre all'Italia, solo la Romania e il Portogallo contemplano un obbligo simile.
Ma se l'equo compenso e il bollo non bastano certo a zittire la voce di molti giovani musicisti o appassionati, ci riesce invece la gestione degli "spettacoli". Oltre all'onnipresente e italianissima burocrazia (come la pretesa di delineare dettaglitamente i brani che si andranno ad eseguire), la  SIAE prevede per qualsiasi spettacolo un compenso sugli incassi (di solito il 10% sugli su biglietti, finanziamenti pubblici e privati, sugli
incassi del bar ecc...) o un minimo garantito. Il rischio poi di prendersi una multa (e salata) non è da scartare. La SIAE svolge anche ruolo di controllo, ed è sufficiente un brano non in scaletta, o che la gente balli quando questo non era stato previsto  per far scattare l'ammenda
(bisogna anche avere la lungimiranza di sapere se la gente ballerà o no). Su internet si trovano numerose testimonianze di "multe scandalose" fatte a vecchi beccati a cantare o bambini di Chernobyl per essersi esibiti in canti come ringraziamento alle famiglie che li avevano ospitati in Italia.
Stando ad uno studio condotto dalla IBL (Istituto Bruno Leoni), la SIAE, oltre ad essere un sistema meno efficiente e più opaco di molti omologhi europei, comporta allo Stato uno "spreco di 13 milioni di euro l'anno", il costo è maggiore e il servizio scadente. Nell'organizzazione di una serata a base di musica a Londra o in Italia (dice sempre lo studio), i nostri gestori pagano 9 volte di più in confronto a quelli inglesi (per una serata di 500 persona, ad esempio, il pub della City sborsa 114 euro contro i 1.000 che deve snocciolare il nostro bar).
Tralasciando il fatto che, nonostante gli incassi della società, il 65% degli iscritti alla SIAE percepisce meno di quanto paga annualmente per l'iscrizione si comprende come siano pochi a guadagnarci, e tra questi non ci sono né i giovani musicisti, né la musica stessa.
A quanto pare, tra le altre cose, alla base del sistema c'è l'anomalia di considerare equivalenti diritto d'autore e copyright. Infatti non è nemmeno possibile per un autore concedere direttamente (e gratuitamente) il diritto di riproduzione dei propri brani.

Se la musica non gode di buona salute, forse lo fa il diritto allo studio.
E' del 2007 il caso del professor Enrico Galavotti, a cui la SIAE ha chiesto il pagamento di "un'ingente somma di denaro" per aver pubblicato a fine didattico-illustrativo alcune immagini di dipinti coperti da copyright (leggasi: diffondere la cultura gratuitamente è reato). Infatti, l'Italia ancora non prevede il fair use, cioé la libera pubblicazione di materiale coperto da copyright sotto determinate condizioni (tra cui l'assenza di lucro). La risposta del Governo è stata, sostanzialmente, l'inserimento di questo comma nella legge: "È consentita la libera pubblicazione attraverso la rete internet, a titolo gratuito, di immagini e musiche a bassa risoluzione o degradate, per uso didattico o scientifico e solo nel caso in cui tale utilizzo non sia a scopo di lucro". Ancora poca cosa, bisogna dirlo.
Un ultimo dato interessante, per concludere, riguarda la "tassa" che ogni anno gli studenti pagano con l'iscrizione all'universita. Questa viene  calcolata sulla possibilità di uno studente di fotocopiare i libri presenti nelle biblioteche universitarie. Di nuovo la SIAE pretende denaro sull'eventualità, sulla teoria.  Un simile comportamento è possibile in quanto in Italia (contrariamente a quanto succede in altri paesi) la SIAE detiene il monopolio e non ha concorrenti nella gestione dei diritti d'autore e del copyright.
L'accordo tra Stato e SIAE risulta quindi del tutto dannoso, soprattutto per gli 85 mila iscritti che pagano più di altri colleghi europei e  si ritrovano con un servizio scadente, un'amministrazione inefficiente e con pochi soldi in tasca. Ma non sono salvi nemmeno i cittadini che pagano il prezzo di ogni monopolio, e non possono nemmeno godersi più una buona serata.


Alessandro Bardin