domenica 4 marzo 2012

Vogliamo la mamma? (Lettera Al ministro Anna Maria Cancellieri)

Gentile Ministro Cancellieri, 

sono un ragazzo italiano che da cinque mesi vive e lavora a Barcellona. Nonostante la distanza, continuo a seguire e ad informarmi sulle vicende del mio paese d’origine, e per questo non mi è sfuggita la Sua recente affermazione secondo cui i giovani oggi cercano un “posto fisso vicino a mamma”, seguita a stretto giro dalla critica del Presidente del Consiglio Monti alla monotonia del posto fisso.
All’inizio ho preso molto sul personale le Vostre affermazioni. Ricordare la mia esperienza, che dallo stage post-laurea a Roma mi ha portato all’espatrio dopo una frustrante e infruttuosa ricerca di lavoro, mi ha fatto pensare che magari Lei si riferisse all’imprescindibile vicinanza economica di mia madre. In effetti senza il suo aiuto difficilmente avrei potuto accettare la miseria che mi è stata offerta per lavorare per tre mesi nella Pubblica Amministrazione a 600 km da casa (125 euro in totale!). Poi mi sono ricordato che io almeno sono stato ospitato da alcuni familiari, mentre gli altri 600 neolaureati che hanno partecipato al medesimo progetto, a Roma o in una capitale straniera, hanno dovuto cercarsi e pagarsi un affitto con una retribuzione analoga o addirittura inferiore (molti hanno lavorato gratis). Quindi mi è venuto il sospetto che il desiderio di “cambiare aria”, che mi ha fatto accettare il trasferimento in un altro paese per un lavoro da 450 euro al mese, sia un sentimento comune a moltissimi dei miei coetanei.
In effetti i dati sulla mobilità dei giovani italiani stonano parecchio con le Sue affermazioni. Solo considerando l’università, il numero degli studenti italiani che trascorre un periodo medio di 7 mesi all’estero è passato dai 13 mila dell’anno accademico 2000/2001 ai 17 mila alla fine del decennio, con un aumento del 34%. A questi si aggiungono i circa 40 mila italiani che scelgono di effettuare integralmente all’estero i propri studi universitari. Sarà forse la conseguenza delle deficienze delle nostre università, che come mostra l’ultimo rapporto dell’OSCE escono letteralmente mortificate dal confronto con gli atenei dei paesi anglosassoni, nord europei, statunitensi ed ora persino indiani e cinesi, superiori per qualità dell’insegnamento e per gli importanti investimenti pubblici nella ricerca? Pare che da quelle parti pensino certe politiche rilancino la competitività e l’occupazione in periodo di crisi economica.
Anche dopo la discussione della tesi i numeri restano significativi. Dal 2000 al 2010 ogni anno circa 30 mila ragazzi hanno infatti scelto la via dell’emigrazione pochi mesi dopo la laurea. Si tratta di circa il 3% del totale, cifra che ha raggiunto il 4,5% nel corso del 2011. I dati e le interviste alle persone in questione mostrano che si tratta di giovani usciti dai rispettivi corsi di laurea con brillanti valutazioni, una alta preparazione e il desiderio di mettersi alla prova in realtà in cui il merito è maggiormente riconosciuto. Gli stessi numeri mostrano non solo che a parità di preparazione i giovani neolaureati europei riescono nel giro di qualche anno di lavoro e sacrificio a costruirsi una posizione adeguata al proprio titolo, come funzionari o quadri dirigenti, ma che gli stessi italiani, una volta abbandonato l’ingessato e gerontocratico belpaese, ottengono risultati analoghi se non addirittura migliori nel paese che li accoglie.
Non è dunque un caso il crescente interesse verso i programmi di mobilità europea, tra cui spicca la possibilità di effettuare stage e tirocini all’estero offerto dal Progetto Leonardo; così come non è casuale il grande successo degli strumenti di divulgazione di questa e altre opportunità. Da realtà istituzionali e transnazionali come il portale Eures, che promuove la mobilità internazionale di tutti i cittadini dell’Unione Europea, si arriva ai portali creati dagli stessi ragazzi italiani, che hanno colto l’esigenza dei propri coetanei di cercare nuovi stimoli lontano da casa ed hanno creato siti come “Il Portale dei Giovani di Prato” e “Scambi Europei” (solo per fare due esempi). Ogni giorno sono migliaia i contatti che leggono e inviano le proprie candidature per i progetti di studio, lavoro e scambio all’estero lì pubblicati.
Mi piacerebbe concludere con un piccolo ma significativo esempio di cui sono stato testimone, e che forse più dei numeri rende l’idea dell’erroneità della Sua affermazione, Signor Ministro. Negli stessi giorni in cui Lei ci ricordava di essere un popolo di giovani bamboccioni, ho vinto un concorso per un tirocinio nelle istituzioni europee (vado ancora più lontano dalla mia mamma), e si è creato il problema di sostituirmi nell’ufficio in cui lavoro a Barcellona. Su mio suggerimento, abbiamo messo l’annuncio proprio su uno dei portali di cui le parlavo sopra, e nonostante il mio scetticismo (mi chiedevo: “chi mai accetterà uno stage in cui si richiedono quattro lingue per 450 euro al mese?”), come aveva previsto il responsabile del sito il giorno dopo sono arrivati circa 400 curriculum. Lavorando in un piccolo ufficio, ho dato una mano a selezionare le candidature, e così ho letto una buona parte dei curriculum e delle appassionate lettere di motivazione di persone laureate con voti altissimi nei settori più disparati, con esperienze di studio e lavoro in diversi paesi europei e una invidiabile conoscenza delle lingue. Lo stupore è diventato rabbia quando ho pensato che profili del genere, che in altri paesi sarebbero già avviati a carriere e retribuzioni di ben altro livello, quasi implorassero la possibilità di essere messi alla prova per una cifra che certo non retribuisce il reale valore della prestazione, e che per quanto si possa risparmiare non permette certo di vivere all’estero senza il sostegno della propria famiglia. Ironia della sorte, la persona che è stata scelta è un italiano che sta studiando in Francia e che nel forum del sito ha criticato con forza chi ha commentato ironicamente la bassa retribuzione offerta, dicendo che aveva ragione ma che era troppo facile lamentarsi senza nemmeno provare ad avviare un cambiamento che passasse da un forte sacrificio personale.
Vista così, Signor Ministro, e a meno che non abbiamo tutti scoperto che i nostri padri hanno fatto qualche scappatella amorosa all’estero una ventina d’anni fa, mi sembra evidente che la tenacia, il coraggio e la forza di fare piccoli e grandi sacrifici per seguire i nostri sogni, o almeno cercare un futuro migliore, non ci mancano. Fosse che invece che ai giovani, i problemi italiani siano legati ad altre, ben più gravi, questioni "tecniche"?

Carlo Marcotulli

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