Che la politica e la società civile siano, in Italia, due entità in contrasto storico, è risaputo.
Da qualche tempo un nuovo aspetto di questo conflitto si è imposto all’attenzione di tutti: si tratta degli insulti di certi politici alla popolazione.
Il più recente vede protagonista Brunetta e la sua definizione dei precari come “la peggiore Italia”. Il sedicente candidato-premio-nobel, dopo la diffusione della notizia, non ha mai chiesto scusa o mostrato pentimento. Contrariamente a ciò che sarebbe successo in qualsiasi altro paese democratico, il ministro ha sfruttato i media per difendersi, esibendo una faccia tosta e un’arroganza a cui ci siamo (forse) troppo abituati. “Insultando” indirettamente l’intelligenza degli ascoltatori, ha mentito senza vergogna sull’accaduto, nonostante il video sbugiardi la sua versione sotto ogni punto di vista.
Ecco com’è andata (e molti già lo sapranno): appena sentita la parola “precaria” il ministro è balzato giù dal palco, congedandosi con un atteggiamento supponente e una cafoneria, questa sì, da premio nobel. Simili teatrini sono una nuova prerogativa di molti personaggi pubblici caratterizzati da presuntuosa maleducazione, condita dalla più proverbiale “faccia di bronzo”.
Il “format” lo conosciamo bene noi italiani: non appena si muove una critica o è fatta menzione a un problema serio del paese, i politici se la danno a gambe, insultano, minimizzano con irritante ironia, si autocelebrano, si chiudono in una solidarietà reciproca che ha tanto il sapore di “omertà”. Qualsiasi mezzo è buono al fine di sviare, e non affrontare i problemi che la gente, sempre più inquieta, vorrebbe fossero presi in esame seriamente. Si sente nel sottofondo di tutto questo un motivo ricorrente: “Non rompete i coglioni!”.
Il 22 di giugno, i precari della scuola hanno manifestato davanti a Montecitorio. La risposta dello Stato, come spesso succede, è stata portata dai manganelli della polizia. Una risposta degna di ogni democrazia.
Tanto per chiarire: cosa sono i precari? Gente senza futuro.
La gravità della loro situazione non concerne solamente un numero limitato di persone direttamente coinvolte. Se la maggioranza dei (più o meno) giovani è costituita da precari, il paese è impossibilitato a crescere, e ciò potrebbe comportare tagli ai servizi, crescita del debito, e un tracollo economico. Non è per esuberante filantropia che la Francia sta investendo qualcosa come 16 miliardi di euro sui giovani (compresi i non francesi di nascita!). E’ stato infatti calcolato che negli anni a venire, un tale sacrificio, li porterà ad un risparmio di circa una ventina di miliardi.
Il numero dei precari in Italia non è trascurabile. Secondo il Corriere della Sera, la disoccupazione giovanile si aggira intorno al 25%. E tra coloro che un lavoro ce l’hanno, sono a tempo indeterminato solo il 15%. In totale (giovani e non), i precari sono circa 3.757.000.
Hanno un bel dire i nostri politici che i giovani sono “bamboccioni” e che dovrebbero andare a “scaricare la frutta ai mercati generali”; il sempre maggior numero di ragazzi che si fanno sfruttare da stage senza sbocchi pur di lavorare e aggiungere esperienze ai loro curricula cresce di anno in anno: nel 2009 erano 321.850, con un aumento di quasi il 40% in 3 anni. Una nota curiosa: Brunetta, secondo l’associazione H2, avrebbe per sé qualcosa come 30 stagisti.
Il problema del “precariato” si inserisce in un discorso più vasto: la non-guida della politica, e la mancanza di una visione che guardi al futuro. Chi governa (e questo ormai da molti decenni) non è in grado di calcolare il lungo periodo: investire su giovani, sulla ricerca, sulla competitività. Prova ne sono i molti brevetti (dagli anni ’60 ad oggi) non finanziati in Italia, e realizzati poi all’estero; oltre ai numerosi studiosi e lavoratori specializzati costretti a migrare, che finiscono così per arricchire (in tutti i sensi) i paesi stranieri. Risulta chiaro l’andamento generale se si pensa che in Italia si destinano per le borse di studio 481 milioni di euro, a fronte dell’1 miliardo e 400 milioni previsti dalla Germania allo stesso scopo.
Una visione così ristretta, miope, l’attenzione al guadagno immediato, la mancanza di investimenti, la politica di spremere i contribuenti e non dare nulla in cambio, sta stressando la società e compromettendo il futuro di questo paese, e non solo economicamente.
Coloro che detengono il potere delegato dal popolo, dovrebbero guidare questo stesso popolo, come un capitano con il suo vascello. Sfortunatamente non è così.
Alessandro Bardin
Il “format” lo conosciamo bene noi italiani: non appena si muove una critica o è fatta menzione a un problema serio del paese, i politici se la danno a gambe, insultano, minimizzano con irritante ironia, si autocelebrano, si chiudono in una solidarietà reciproca che ha tanto il sapore di “omertà”. Qualsiasi mezzo è buono al fine di sviare, e non affrontare i problemi che la gente, sempre più inquieta, vorrebbe fossero presi in esame seriamente. Si sente nel sottofondo di tutto questo un motivo ricorrente: “Non rompete i coglioni!”.
Il 22 di giugno, i precari della scuola hanno manifestato davanti a Montecitorio. La risposta dello Stato, come spesso succede, è stata portata dai manganelli della polizia. Una risposta degna di ogni democrazia.
Tanto per chiarire: cosa sono i precari? Gente senza futuro.
La gravità della loro situazione non concerne solamente un numero limitato di persone direttamente coinvolte. Se la maggioranza dei (più o meno) giovani è costituita da precari, il paese è impossibilitato a crescere, e ciò potrebbe comportare tagli ai servizi, crescita del debito, e un tracollo economico. Non è per esuberante filantropia che la Francia sta investendo qualcosa come 16 miliardi di euro sui giovani (compresi i non francesi di nascita!). E’ stato infatti calcolato che negli anni a venire, un tale sacrificio, li porterà ad un risparmio di circa una ventina di miliardi.
Il numero dei precari in Italia non è trascurabile. Secondo il Corriere della Sera, la disoccupazione giovanile si aggira intorno al 25%. E tra coloro che un lavoro ce l’hanno, sono a tempo indeterminato solo il 15%. In totale (giovani e non), i precari sono circa 3.757.000.
Hanno un bel dire i nostri politici che i giovani sono “bamboccioni” e che dovrebbero andare a “scaricare la frutta ai mercati generali”; il sempre maggior numero di ragazzi che si fanno sfruttare da stage senza sbocchi pur di lavorare e aggiungere esperienze ai loro curricula cresce di anno in anno: nel 2009 erano 321.850, con un aumento di quasi il 40% in 3 anni. Una nota curiosa: Brunetta, secondo l’associazione H2, avrebbe per sé qualcosa come 30 stagisti.
Il problema del “precariato” si inserisce in un discorso più vasto: la non-guida della politica, e la mancanza di una visione che guardi al futuro. Chi governa (e questo ormai da molti decenni) non è in grado di calcolare il lungo periodo: investire su giovani, sulla ricerca, sulla competitività. Prova ne sono i molti brevetti (dagli anni ’60 ad oggi) non finanziati in Italia, e realizzati poi all’estero; oltre ai numerosi studiosi e lavoratori specializzati costretti a migrare, che finiscono così per arricchire (in tutti i sensi) i paesi stranieri. Risulta chiaro l’andamento generale se si pensa che in Italia si destinano per le borse di studio 481 milioni di euro, a fronte dell’1 miliardo e 400 milioni previsti dalla Germania allo stesso scopo.
Una visione così ristretta, miope, l’attenzione al guadagno immediato, la mancanza di investimenti, la politica di spremere i contribuenti e non dare nulla in cambio, sta stressando la società e compromettendo il futuro di questo paese, e non solo economicamente.
Coloro che detengono il potere delegato dal popolo, dovrebbero guidare questo stesso popolo, come un capitano con il suo vascello. Sfortunatamente non è così.
“Ahi serva Italia, di dolore ostello,
Nave sanza nocchiere in gran tempesta
Non donna di province, ma bordello!”
(Dante, Pur. VI)
Non donna di province, ma bordello!”
(Dante, Pur. VI)
Alessandro Bardin