domenica 26 giugno 2011

"Nave sanza nocchiere…"

Che la politica e la società civile siano, in Italia, due entità in contrasto storico, è risaputo.
Da qualche tempo un nuovo aspetto di questo conflitto si è imposto all’attenzione di tutti: si tratta degli insulti di certi politici alla popolazione.
Il più recente vede protagonista Brunetta e la sua definizione dei precari come “la peggiore Italia”. Il sedicente candidato-premio-nobel, dopo la diffusione della notizia, non ha mai chiesto scusa o mostrato pentimento. Contrariamente a ciò che sarebbe successo in qualsiasi altro paese democratico, il ministro ha sfruttato i media per difendersi, esibendo una faccia tosta e un’arroganza a cui ci siamo (forse) troppo abituati. “Insultando” indirettamente l’intelligenza degli ascoltatori, ha mentito senza vergogna sull’accaduto, nonostante il video sbugiardi la sua versione sotto ogni punto di vista.
Ecco com’è andata (e molti già lo sapranno): appena sentita la parola “precaria” il ministro è balzato giù dal palco, congedandosi con un atteggiamento supponente e una cafoneria, questa sì, da premio nobel. Simili teatrini sono una nuova prerogativa di molti personaggi pubblici caratterizzati da presuntuosa maleducazione, condita dalla più proverbiale “faccia di bronzo”.
Il “format” lo conosciamo bene noi italiani: non appena
si muove una critica o è fatta menzione a un problema serio del paese, i politici se la danno a gambe, insultano, minimizzano con irritante ironia, si autocelebrano, si chiudono in una solidarietà reciproca che ha tanto il sapore di “omertà”. Qualsiasi mezzo è buono al fine di sviare, e non affrontare i problemi che la gente, sempre più inquieta, vorrebbe fossero presi in esame seriamente. Si sente nel sottofondo di tutto questo un motivo ricorrente: “Non rompete i coglioni!”.
Il 22 di giugno, i precari della scuola hanno manifestato davanti a Montecitorio. La risposta dello Stato, come spesso succede, è stata portata dai manganelli della polizia. Una risposta degna di ogni democrazia.
Tanto per chiarire: cosa sono i precari? Gente senza futuro.
La gravità della loro situazione non concerne solamente un numero limitato di persone direttamente coinvolte. Se la maggioranza dei (più o meno) giovani è costituita da precari, il paese è impossibilitato a crescere, e ciò potrebbe comportare tagli ai servizi, crescita del debito, e un tracollo economico. Non è per esuberante filantropia che la Francia sta investendo qualcosa come 16 miliardi di euro sui giovani (compresi i non francesi di nascita!). E’ stato infatti calcolato che negli anni a venire, un tale sacrificio, li porterà ad un risparmio di circa una ventina di miliardi.
Il numero dei precari in Italia non è trascurabile. Secondo il Corriere della Sera, la disoccupazione giovanile si aggira intorno al 25%. E tra coloro che un lavoro ce l’hanno, sono a tempo indeterminato solo il 15%. In totale (giovani e non), i precari sono circa 3.757.000.
Hanno un bel dire i nostri politici che i giovani sono “bamboccioni” e che dovrebbero andare a “scaricare la frutta ai mercati generali”; il sempre maggior numero di ragazzi che si fanno sfruttare da stage senza sbocchi pur di lavorare e aggiungere esperienze ai loro curricula cresce di anno in anno: nel 2009 erano 321.850, con un aumento di quasi il 40% in 3 anni. Una nota curiosa: Brunetta, secondo l’associazione H2, avrebbe per sé qualcosa come 30 stagisti.
Il problema del “precariato” si inserisce in un discorso più vasto: la non-guida della politica, e la mancanza di una visione che guardi al futuro. Chi governa (e questo ormai da molti decenni) non è in grado di calcolare il lungo periodo: investire su giovani, sulla ricerca, sulla competitività. Prova ne sono i molti brevetti (dagli anni ’60 ad oggi) non finanziati in Italia, e realizzati poi all’estero; oltre ai numerosi studiosi e lavoratori specializzati costretti a migrare, che finiscono così per arricchire (in tutti i sensi) i paesi stranieri.  Risulta chiaro l’andamento generale se si pensa che in Italia si destinano per le borse di studio 481 milioni di euro, a fronte dell’1 miliardo e 400 milioni previsti dalla Germania allo stesso scopo.
Una visione così ristretta, miope, l’attenzione al guadagno immediato, la mancanza di investimenti, la politica di spremere i contribuenti e non dare nulla in cambio, sta stressando la società e compromettendo il futuro di questo paese, e non solo economicamente.
Coloro che detengono il potere delegato dal popolo, dovrebbero guidare questo stesso popolo, come un capitano con il suo vascello. Sfortunatamente non è così.
  

“Ahi serva Italia, di dolore ostello,
Nave sanza nocchiere in gran tempesta
Non donna di province, ma bordello!”
(Dante, Pur. VI)

Alessandro Bardin
 

venerdì 17 giugno 2011

Quanto costano gli immigrati in Italia?

Quanto costano  gli  immigrati in Italia ?   Definizione di immigrato, secondo le tabelle ISTAT :   <<  un immigrato è una persona straniera nata all’estero e residente in Italia. Le persone di cittadinanza italiana nate all’estero che risiedono in Italia non sono contabilizzate tra gli immigrati. All’opposto, alcuni immigrati possono aver acquisito la cittadinanza italiana. La caratteristica di immigrato è una caratteristica permanente: un individuo continua ad appartenere alla popolazione immigrata anche se acquisisce la cittadinanza italiana. E’  il paese di nascita, e non la cittadinanza, che definisce l’origine geografica di un immigrato.>>.  
Secondo le cifre fornite dall’istituto statistico nazionale, nel 2011 gli immigrati in Italia sono 4 milioni e 563 mila, circa il 7 % del totale dei residenti. La comunità straniera più folta è quella rumena (circa 1 milione), seguita da quella albanese (491 mila) e  marocchina (457 mila). 
Negli ultimi sette anni il numero di immigrati è raddoppiato: comprensibile  restare scossi di fronte a un processo di tale impetuosità. Un flusso così importante può portare a reazioni di paura e spavento, sapientemente innaffiate in certi  casi  dalla propaganda di alcuni partiti politici.  E’ necessario quindi fare chiarezza tramite le cifre, visto che le cifre, solitamente , non mentono.    
Pensiamo ad esempio ai clandestini: secondo un sondaggio fatto da “postpoll” gli italiani credono che  la metà degli immigrati sia formata da clandestini (e quindi probabilmente delinquenti): secondo la Caritas invece non raggiungono il mezzo milione, e all’interno di questo numero vanno contati pure gli “irregolari”, stranieri senza  i requisiti necessari per la permanenza sul territorio nazionale, di cui però erano in possesso al momento dell’ingresso . 
Anche sulla “delinquenza” le cifre ridimensionano le percezioni. Su un totale di 70 mila carcerati (dati aggiornati al 2009 del ministero della giustizia) gli italiani sono il 65 %. I galeotti stranieri sono circa 24mila, molti dei quali (11 mila) arrestati per reati legati agli stupefacenti (si tratta quindi di microcriminalità).   
E’ interessante valutare quanto costano gli immigrati alla nazione, giusto per vedere se davvero, come spesso si sente dire, costituiscono una spesa quasi insostenibile per lo stato sociale e le nostre tasche.  I calcoli, in verità,  sono piuttosto complessi: studi compiuti dalla Banca d’Italia e Caritas testimoniano che nella sanità si possono addebitare agli stranieri il 2,5 % dei costi (circa 2,7 miliardi di euro). Nella scuola si arriva  al 6 % (2,5 miliardi di euro), mentre  per i servizi sociali comunali vengono destinati agli immigrati 400 milioni di euro (circa il 7 %), dei quali solo 130 per interventi di integrazione sociale. Per la giustizia (carceri e tribunali) gli immigrati hanno un’incidenza di circa 2 miliardi di euro (25 %). Le spese causate da utenti stranieri nel campo del welfare ammontano a circa 9,3 miliardi di euro. La cifra è sicuramente importante, la crescita del numero di immigrati ha messo sotto pressione alcuni settori come la scuola, la sanità e le carceri.  
Va però necessariamente comparata a quanta ricchezza porta all’Italia la cittadinanza extra italiana, e pure in questo caso i numeri sono incontestabili: se si sommano i contributi previdenziali al gettito fiscale, raggiungiamo la cifra tonda di 10 miliardi di euro che entrano nelle casse dello stato. Quindi, tirando le somme, fanno guadagnare allo stato nazionale circa 700 milioni di euro. 
Gli immigrati inoltre, secondo un’indagine ISTAT, colmano i vuoti generazionali lasciati dagli italiani. Gli stranieri residenti in Italia hanno un’età media di 31,5 anni, più bassa rispetto a quella dei residenti di cittadinanza italiana (44.2). Il 16,5 % delle nascite totali, nel 2009, sono attribuibili a madri straniere, le quali danno un  enorme contributo a mantenere su livelli discreti il tasso di natalità in Italia.  
Quindi gli immigrati sono giovani, quasi tutti “in regola”, non particolarmente disonesti o delinquenti, pagano le tasse, fanno figli  e producono ricchezza per il nostro paese. Tutto finisce qui? Sicuramente no. Il problema è complesso, va a toccare molteplici aspetti  anche di natura culturale. Il contatto con abitudini diverse può portare nel lungo periodo a un arricchimento complessivo ma nel breve crea problemi, risolvibili solo con una politica attenta e mirata.   Prima di fare questo, è importante però sapere che i numeri sono assolutamente dalla loro parte.     
 
[Q]

giovedì 9 giugno 2011

Speciale Referendum 3 - Legittimo impedimento

4° Referendum: la legge è uguale per tutti  

“Volete voi che siano  abrogati l’articolo 1, commi 1,2,3,5,6 nonché l’articolo 2 della legge 7 aprile 2010 numero 51 recante “disposizioni in maniera di impedimento a comparire in udienza?”.  

Questo è quello che troverete scritto sulla scheda di colore verde, il quarto referendum, quello sul “legittimo impedimento”.          
La legge, già parzialmente modificata dalla Corte Costituzionale il 13 gennaio 2011 (violava il principio di eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge), consente al Presidente del Consiglio dei ministri (art.1 comma 1) e ai ministri stessi (art.1 comma 2) di non presentarsi ai procedimenti in cui sono imputati adducendo come legittimo impedimento qualsiasi attività essenziale per le funzioni di governo (art.1 comma 1).
Il giudice deve  rinviare  il processo ad altra udienza (art.1 comma 3) e  le disposizioni della legge si applicheranno anche alle procedure penali in corso “in ogni fase, stato o grado” (art.1comma 6).      

Se si raggiungerà il quorum e vincerà il SI, tutto questo verrà cancellato e non esisterà più.   
Le malelingue dicono che la norma è da annoverarsi tra le cosiddette “ leggi ad personam” (ad oggi sono 37) e favorirebbe di fatto la posizione processuale di Berlusconi.
Infatti, accostata a quella sul processo breve, consentirebbe al Premier di mandare in prescrizione alcuni suoi procedimenti penali, fra i quali il processo Mills, Mediatrade, Mediaset e Rubi, violando di conseguenza il principio per cui ogni cittadino è uguale di fronte alla legge.   
Ma sono solo malelingue, ovviamente.  

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mercoledì 8 giugno 2011

Speciale Referendum 2 - Il nucleare

La scheda grigia interroga i cittadini riguardo l’utilizzo dell’energia nucleare in Italia.
Il piano originale di Scajola prevedeva la costruzione di 4 centrali (8 reattori in tutto), al fine di coprire il 25% della produzione energetica nazionale.
Le norme del decreto Omnibus cambiano parzialmente i termini: prevedono la sospensione di ogni legge in materia di energia nucleare per 12 mesi.

In soldoni:
Se vince il SI ogni proposta per l’utilizzo del nucleare in Italia sarà bloccata, almeno finché la ricerca non garantirà efficienza e sicurezza con nuove tecnologie.

Se vince il NO, il governo si prenderà un anno di tempo “al fine di acquisire ulteriori evidenze scientifiche” , al termine del quale sarà introdotto il nucleare nel Piano energetico nazionale.

I punti di vista dei pro e dei contro sono chiari.
Per chi è favorevole l’energia derivata dall’atomo è all’avanguardia, è più sicura e meno inquinante (soprattutto per quanto riguarda i gas serra), e avrebbe il merito di diminuire notevolmente l’importazione di energia da altri paesi.
I contrari sottolineano la fondamentale insicurezza degli impianti, soprattutto in un territorio sismico come quello italiano, e il pericolo che concerne lo smaltimento delle scorie radioattive (che decadono nel giro di 100.000/150.000 anni).  Altri elementi di dubbio sono il progressivo esaurimento delle scorte di uranio e gli alti livelli di CO2 (pari al 30% di quelli emessi da una centrale a gas).

È bene comunque sintetizzare alcuni punti su di una questione così controversa.
Prima di tutto i costi. Confindustria ha calcolato che le casse dello Stato dovranno sborsare circa 5 miliardi di euro per ogni reattore (qualcuno sostiene dai 40 ai 50 miliardi di euro in totale). Questo è il preventivo ammesso che i lavori non subiscano alcun tipo di ritardo. Fortunatamente in Italia siamo famosi per la puntualità (vedi esempio TAV)…
Si è spesso sbandierato il reattore di Generazione IV come garanzia di sicurezza ed efficienza. In realtà tali modelli di reattore sono ancora in fase di sperimentazione, e le prove stanno dando numerosi problemi tecnici. La loro messa a punto è rimandata per il decennio 2030-2040 (i più ottimisti ritengono comunque che non saranno realizzabili prima del 2020).
La convenienza per l’Italia di lanciarsi ora nel nucleare è messa in dubbio da molti. Prima di tutto perché altri paesi (come Germania e Svizzera) lo stanno progressivamente abbandonando, optando per le rinnovabili;  inoltre perché le centrali italiane, se costruite in questi anni, al momento d'avvio saranno obsolete non solo in confronto a fonti alternative, ma anche rispetto ad altre centrali nucleari ora in fase di progettazione (un esempio su tutti: le centrali a fusione -e non a fissione-, portati avanti dai progetti ITER e successivamente DEMO).
Infine, è lecito chiedersi se sia proficuo investire nel nucleare in un paese dove la malavita è così presente (l’esempio dell’eolico parla chiaro), e dove lo Stato non è ancora in grado di gestire in maniera efficiente i semplici rifiuti urbani.

Alessandro Bardin

martedì 7 giugno 2011

Speciale Referendum 1 - L'acqua

I quesiti referendari riguardanti l'acqua sono 2.

Il primo riguarda l'affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica. Tra di essi c'è anche l'acqua. Chi non ha mai pensato, in una calda giornata di sole: “ora mi bevo un bel bicchiere di servizio pubblico locale di rilevanza economica?”

Se vince il SI, le decisioni sulla gestione dell'acqua saranno in mano alle amministrazioni locali (i comuni) che decideranno tra una gestione pubblica, privata o mista. I cittadini avranno maggiori possibilità, in caso di inefficienza e/o costo elevato del servizio, di rivolgersi al primo cittadino facendo valere direttamente le proprie ragioni.

Se vince il NO, la gestione dell'acqua rimarrà in mano a società che hanno un capitale privato di almeno il 40%.
Il mio basilico mi ha chiesto di evitare di dire che anche la pioggia è acqua. L'unico intermediario privato con il quale vuole avere a che fare è il sottovaso.

Il secondo quesito riguarda la remunerazione del capitale investito dal privato per la gestione dell'acqua pubblica.

Se vince il SI, il bene pubblico non sarà più soggetto a profitti.

Se vince il NO, l'azienda che investe sulle risorse idriche avrà un ritorno sul capitale investito pari al 7%. Ciò significa che io imprenditore gestisco la rete, faccio investimenti e il cittadino mi copre, con la bolletta, tutti i costi. Oltre a ciò avrò una percentuale fissa di profitto applicata ad un settore sostanzialmente privo di rischi. Anche se la linea non funziona prendo il 7%, se il cittadino non paga l'acqua, io privato gliela stacco. Un'ultima cifra: il rendimento dei titoli di Stato portoghesi, paese a rischio default, è al di sotto del 5%; a questo punto è meglio investire in acqua: capitale garantito e rendimento maggiore.

Marco Barbato